L’intervista al preparatore atletico: “La conoscenza professionale, la voglia di crescere e di migliorarsi sono le caratteristiche del preparatore”
Alla seconda stagione con la società gardesana, Nicola Marini è un punto fermo della società, il quale si è ottimamente integrato con gli altri membri dello staff nonché con Mister Florindo e con i giocatori; d’altronde, l’ottima integrazione e la collaborazione tra le varie figure dello staff è uno dei fiori all’occhiello del Desenzano Calvina, di cui andare fieri.
Buongiorno Nicola. Qual è la settimana-tipo di lavoro al Desenzano Calvina?
“Cerchiamo di integrare i lavori e di renderli più uniti possibili tra la preparazione fisica e quella tecnico-tattica. Solitamente il martedì facciamo un lavoro differenziato a seconda di chi ha giocato e chi no, il mercoledì puntiamo di più sulla forza, al giovedì invece lavora il mister in vista della partita mentre il venerdì è il giorno che preferisco, perché viene dedicato all’agility e quindi viene messa in campo la mia conoscenza. Infine al sabato ci si dedica solo ad un po’ di rapidità”.
I giocatori la seguono e la ascoltano?
“Si, fortunatamente ho un ottimo rapporto con tutti vista anche l’età simile. C’è molto rispetto per la mia figura, e la cosa è reciproca. Sono dieci anni che alleno e ho vissuto diverse situazioni, questo mi aiuta molto anche per fornire la giusta sicurezza e dare certezze in ciò che propongo”.
Quanto è importante la collaborazione e l’interazione con l’allenatore? E con gli altri membri dello staff?
“Direi fondamentale, nel calcio di oggi non si può più pensare di dividere l’allenamento in compartimenti stagni, deve esserci un filo conduttore. Personalmente punto molto a far capire l’importanza delle esercitazioni, la grandezza del campo, il volume del lavoro, la durata, a seconda di quello che andiamo a ricercare, integrando quello che propone l’allenatore”.
Il modo di lavoro cambia in base agli avversari che di volta in volta si incontrano?
“Noi dobbiamo rispettare la nostra identità, spero sempre siano gli altri a doversi adattare a noi. La nostra intenzione è quella di gestire e giocare la partita secondo la nostra identità di base”.
Come vive la partita un preparatore atletico da bordo campo?
“Divido la partita in sei/quindici, vale a dire in tre diversi momenti per ogni tempo di gioco e cerco di guardare quello che gli altri notano di meno, ad esempio come si arriva sulle seconde palle piuttosto che la gestione del pallone mentre è praticamente impossibile stabilire quanto ha corso un giocatore senza l’ausilio di un supporto come il gps, che utilizziamo molto spesso”.
Capita, a volte, di dare il “via libera” a giocatori non ancora del tutto recuperati fisicamente: su cosa si basa questa decisione?
“In Serie A un giocatore rappresenta un costo e deve rendere anche in base a quello. In generale, però, cerchiamo di applicare ciò che dice la letteratura scientifica inerente i tempi e le modalità di recupero, a seconda del tipo di infortunio subito”.
Il lavoro sul campo è importante ma la ricerca scientifica, sotto forma di conoscenze, come la definisce?
“Indispensabile, se non studi non puoi fare questo lavoro. Cerco di leggere il più possibile, ad esempio sul pullman quando ho un pochino di tempo libero per capire cosa c’è di nuovo. Ogni qualvolta che leggo qualcosa di nuovo mi sembra di non conoscere niente. Ma il mio obiettivo è sempre quello di migliorarmi”.
Un buon preparatore dovrebbe possedere, di base, tre fattori: gestione della conoscenza, gestione degli ambienti e autogestione. Si ritrova in questo?
“Si, assolutamente si, è in linea con quanto penso e credo anche io”.
Esistono altri fattori oltre ai sopra citati? Se si, quali?
“La più grande capacità è quella di far credere ai giocatori che quello che si sta proponendo sia il massimo per loro, in special modo se proponi qualcosa di diverso da quello che si fa abitualmente. Allenare è una scienza ma anche un’arte, bisogna avere tante conoscenze perché solo queste ti forniscono la giusta sicurezza nel lavoro”.
Quali sono le principali difficoltà?
“Capire quando un giocatore è allenato oppure non lo è, se si sta allenando troppo oppure troppo poco. Non avendo strumenti di alto livello che possono vantare solo le squadre di Serie A, ci basiamo sulle sensazioni che ci riportano i giocatori e su quello che vediamo noi”.
C’è stato un preparatore atletico che ha preso a modello?
“Sono amante sia del modello spagnolo per quanto concerne il lavoro sul campo che di quello inglese per gli esercizi in palestra, queste due metodologie di lavoro mi hanno influenzato molto. Se poi proprio devo fare un nome, secondo me in Italia il numero uno è Alberto Andorlini, in passato preparatore dell’Inter”.
Quanto contano i social network nel suo lavoro?
“Purtroppo contano anche se a me non piacciono molto, ho una pagina Instagram ma non pubblico molto; leggo tanto e penso ci siano preparatori veramente bravi, migliori di me, e anche loro pubblicano poco, dando più importanza alla stesura di libri. Sono pochi coloro i quali pubblicano sui social concetti di alto livello, penso ad esempio a Alberto Pasini, attuale preparatore dell’Atalanta”.
Come si trova al Desenzano Calvina? Cosa rappresenta per Lei?
“Mi trovo molto bene, la società è serissima, sicuramente la più seria in cui sono stato. Si respira la possibilità di fare calcio a livelli anche più alti seppur ci vuole tempo ma si percepisce che l’ambizione è quella ed è in linea anche con la mia”.
Oltre ai calciatori, lavora anche esternamente?
“Si, ho il mio studio che si chiama NM Recovery Performance a Castiglione delle Stiviere dove passo tutto il mio tempo ad eccezione degli allenamenti della squadra. E per chi volesse, ho anche il profilo Instagram”.
Stefano Benetazzo